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Intelligenza artificiale: le aziende devono fare i conti con il dato

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Gaia Fiertler

Quantità e qualità dei dati come premessa necessaria a qualsiasi implementazione di intelligenza artificiale nelle imprese. E ancora competenze adeguate, sicurezza, privacy e cultura organizzativa: sono molteplici le variabili da considerare nell’AI Journey, il percorso che le aziende stanno affrontando nell’adozione di sistemi di AI a vantaggio del business. La mappatura della terza edizione dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano.

In origine era il dato, si potrebbe dire ai tempi della rivoluzione digitale e dell’intelligenza artificiale. Le aziende devono infatti fare i conti con i loro dati interni, quando decidono di introdurre strumenti di AI (Artificial Intelligence) nei loro processi decisionali, come l’Intelligent data processing, che finora è l’applicazione più adottata (33%) con la costruzione di algoritmi per analizzare ed estrarre informazioni dai dati disponibili e prendere decisioni correlate.

I settori più coinvolti sono banche e finanza, con un quarto del mercato e, a pari merito, industria manifatturiera (13%) e multiutility (13%), seguite dalle assicurazioni (12%). Il punto è che la fase iniziale di identificazione, raccolta e integrazione dei dati necessari alla costruzione di un algoritmo “sensato” per quella organizzazione è critica per l’81% (per il 58% è alta e per il 23% media), seconda come criticità solo all’integrazione con i sistemi integrativi che arriva all’83%. È quanto emerge dalla terza edizione dell’Osservatorio AI del Politecnico di Milano, quest’anno con una survey su 205 tra medie e grandi imprese (contro le 150 dell’anno scorso).

L’Osservatorio sta monitorando i processi di adozione nelle imprese italiane, con tutte le fasi necessarie per una corretta implementazione e le difficoltà connesse. Le criticità riscontrate nelle fasi di sviluppo emergono infatti da un campione di 84 organizzazioni medio-grandi, dove il 77% trova critica anche la fase successiva di data selection e ingestion da parte dell’algoritmo (criticità alta per il 43%, media per il 34%).

Tecnologie pronte di per sé, ma che devono fare i conti con le organizzazioni, con i dati disponibili in azienda che spesso sono spuri, provengono da fonti diverse, oppure non catturano e non esauriscono tutto il “saper fare” aziendale che sarebbe necessario per prendere decisioni davvero ponderate, nonché in molti casi la necessità di arricchire la base dati con serie storiche esterne.

Insomma, è necessaria una complessa fase di armonizzazione dei dati prima di poterli fare processare da un algoritmo, il che rallenta l’implementazione dei progetti. Il terzo elemento critico è quello della gestione della sicurezza dei dati e della privacy (altamente critico per il 55% e mediamente per il 20% per un totale di 75%).

Sicurezza e privacy sono al terzo posto anche tra gli elementi di freno all’adozione di progetti di AI (il 42% considera la gestione di security e privacy altamente critica, il 28% mediamente critica). Ai primi posti si colloca invece il solito tema delle competenze: scarsa reperibilità di competenze interne per l’89% delle aziende e di figure professionali sul mercato per l’86% (su un campione di 87 imprese medio-grandi).

Stato del mercato dell'intelligenza artificiale

Nel 2019 il settore AI ha raggiunto i 200 milioni di euro secondo le stime dell’Osservatorio, pur sempre la fetta più piccola del mercato dell’Industria 4.0, guidato dall’IoT e dagli Industrial Analytics.

Nell’AI per ora la parte del leone la fanno i software (licenze, piattaforme as a service, software as a service, sviluppo software e algoritmi), seguita dai servizi (system integration, consulenza, formazione, data labelling) e solo in minima parte, per ora, dall’hardware (computing, storage, infrastructure as a service).

La spesa in hardware è ad oggi più contenuta sia per la diffusione di soluzioni in modalità as a service, che non richiedono investimenti diretti in hardware proprietari computazionali e di archiviazione, sia per la preponderanza di progetti ancora in fase prototipale che necessitano per ora di una potenza computazionale minore o temporanea, ma sembra che la proporzione tra software e hardware si invertirà quando i progetti saranno a regime.

I progetti di AI allo stato attuale e le previsioni per il futuro

I progetti di Intelligent data processing sono i più adottati con un terzo del mercato e servono soprattutto per creare modelli di forecast (previsione) e di classificazione e clustering.

Seguono i progetti di Natural language processing e di sviluppo di Chatbox/Virtual assistant che, insieme, rappresentano il 28%, oltre un quarto del mercato, con i settori bancario e assicurativo maggiormente attivi. Riguardano la comprensione del linguaggio naturale per dare risposte automatiche mirate e sensate. Queste sono le applicazioni più estese e che avranno anche nel prossimo futuro un’ampia diffusione. Segue un cluster di applicazioni, ad oggi meno estese, applicate solo dalle imprese più evolute ma che avranno un alto tasso di adozione nel breve-medio periodo.

Si tratta dei Sistemi di raccomandazione (18%), che già agiscono quando usiamo Amazon, Netflix e Spotify che, sulla base delle nostre scelte prevalenti e in base alle risposte che diamo, ci propongono liste e hit personalizzate.

Riguardano anche i Robot process automation (Rpa) intelligenti (11%), che introducono elementi di auto-apprendimento della macchina in processi di automazione di per sé deterministici e la Computer vision (10%), che comprende sistemi di riconoscimento visivo che aiutano funzioni di sorveglianza, monitoraggio di una linea di produzione e collaborazione uomo - macchina. Questi hanno una maggiore complessità implementativa e un minor numero di ambiti di applicazione.

Poi ci sono i sistemi fisici integrati con l’Intelligenza artificiale, che hanno ancora una bassissima adozione e per lo più in via sperimentale, per cui ci vorrà ancora qualche anno perché vengano implementati dalle imprese. Sono i veicoli autonomi, soprattutto per la movimentazione autonoma dei materiali (come Agv-Automated guided vehicles e droni) in fase sperimentale per il 18% di coloro che dichiarano di aver avviato qualche progetto in questa classe di sistemi; robot collaborativi (cobot) con sensoristica e riconoscimenti visivi in grado di adattare velocità e movimenti della macchina a quelli dell’uomo con cui condividono azioni, senza barriere di protezione.

Infine gli Intelligent object, sempre in via sperimentale, per il monitoraggio e controllo di processi (per esempio gestione edifici, processi produttivi o sorveglianza), tramite dispositivi in grado di raccogliere e analizzare dati raccolti dall’ambiente in cui operano.

Mappatura della maturità della aziende in base all’AI Journey del Polimi

È un mercato senz’altro agli inizi, ma con un progressivo aumento di maturità dei progetti e di consapevolezza delle aziende. Rispetto all’anno precedente, quelle con progetti già a regime nel 2019 sono il 20% (l’8% sperimentale dell’anno prima è oggi consolidato) e l’11% in via sperimentale. Il 23% vede l’AI come forma di sperimentazione o come idea progettuale (12%) e il 17% la rimanda al futuro, mentre il 17% non ha in previsione nessuna iniziativa.

Secondo le cinque dimensioni dell’AI Journey messo a punto dall’Osservatorio (cultura aziendale, dati e patrimonio informativo, metodologie e algoritmi, organizzazione e competenze e relazione con il cliente) la mappa delle aziende italiane rispetto all’implementazione di soluzioni AI è la seguente:

  • Immobili il 17% delle aziende italiane (con una riduzione di 28 punti percentuali rispetto all’anno precedente): hanno l’infrastruttura per l’acquisizione dei dati, ma la loro quantità e qualità non sono ancora sufficienti per implementare un progetto di AI.
  • Entusiaste il 21% delle imprese (+11 punti percentuali rispetto all’anno prima): sfruttano i dati in loro possesso con soluzioni standard offerte dal mercato (consapevoli di metodologie e algoritmi).
  • In cammino il 36% delle aziende, a uno stadio intermedio (+ 13 punti percentuali), con un livello medio di maturità su tutte le dimensioni e che iniziano a parlare ai clienti di soluzioni arricchite di AI.
  • Apprendista il 14% delle imprese (+2 punti percentuali): hanno investito per migliorare qualità e quantità dei dati per sviluppare algoritmi in modalità stand-alone;
  • Organizzate come l’anno precedente (4%): sono le aziende che hanno sviluppato di più l’ambito organizzativo-culturale e delle competenze interne per prepararsi all’introduzione tecnologica.
  • Avanguardisti l’8% (+ 2 punti rispetto all’anno prima): è il profilo più evoluto delle aziende che si sono mosse per prime, pur non avendo ancora raggiunto la piena maturità.

«Le aziende che si sono mosse per prime stanno passando dalla sperimentazione all’implementazione o alla messa in produzione, molte altre stanno creando le condizioni abilitanti, dal punto di vista della gestione dei dati e della conoscenza delle metodologie e degli algoritmi, per intraprendere il percorso di adozione», commenta Alessandro Piva, direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence. «Un mercato da 200 milioni di euro che rappresenta solo l’inizio di un percorso, dal potenziale largamente inesplorato, di cui le imprese italiane sono sempre più consapevoli, per cui si stanno strutturando per creare le condizioni di uno sviluppo sostenibile e rapido dei progetti».

 

 

Intelligenza artificiale: le aziende devono fare i conti con il dato - Ultima modifica: 2020-02-27T17:21:13+01:00 da Gaia Fiertler