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Smart working sì e no. Capi e collaboratori a confronto

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Gaia Fiertler

Smart working alla ribalta con il lockdown. Ma com’è l’impatto del lavorare da casa cinque giorni su cinque? Ci sono differenze nell’esperienza vissuta e percepita da capi e collaboratori? Come si può facilitare la comunicazione e la collaborazione? Come superare, anche per chi già utilizzava il lavoro agile, gli effetti del totale ricorso a questa modalità, che prima aveva una media di una volta alla settimana? La ricerca di Infojobs rileva problemi di controllo e supervisione per i capi e di gestione dei figli e del lavoro nello stesso spazio per i dipendenti. Proponiamo i consigli di Cornerstone, Liuc Business School e Michel Page per mantenere una relazione di lavoro/comunicazione efficace anche da lontano.

Come sempre le tecnologie aiutano, ma non bastano. Conta, infatti, anche l’uso che se ne fa. Di fatto, il ricorso massiccio allo smart working con collegamenti digitali ai documenti aziendali e ai gruppi di lavoro si sta dimostrando più gestibile nelle grandi aziende e multinazionali, che avevano già introdotto in tempi non sospetti il digital working con strumenti digitali e che, al contempo, avevano lavorato sugli aspetti organizzativi e culturali volti più ai risultati che alla presenza.

Si sta invece rilevando meno gestibile nelle aziende che si sono organizzate in fretta e furia, senza un precedente approccio al nuovo modo di lavorare basato sull’autonomia e sulla responsabilità individuale, e meno sul controllo. È innegabile, poi, che un qualche impatto ci sia stato per tutti quelli che lavorano da casa, essendo diventata l’unica possibilità, cinque giorni su cinque, rispetto a una media pre-coronavirus di una volta alla settimana. Così, dalla ricerca di Infojobs, il portale della domanda - offerta nel mondo del lavoro, emerge principalmente un problema di accettazione culturale e di gestione per i responsabili.

Il punto di vista dei datori di lavoro: mancano controllo, supervisione e relazione, ma la produttività è buona

Le maggiori criticità sono legate a problemi di tipo organizzativo (44%), per mancanza di supervisione e controllo sul lavoro del personale, e di tipo relazionale (42%), perché manca il confronto quotidiano e il lavoro gomito a gomito.

Solo il 14% delle aziende dichiara invece problemi legati alla tecnologia, soprattutto nelle realtà che hanno risposto sì all’emergenza, ma non erano preparate a gestirla con strumenti e competenze adeguati.

Solo il 19% ritiene che non stia funzionando lo smart working, ma soprattutto per il tipo di business o di ruolo non adatto al lavoro da remoto. La maggioranza (64,5%) invece dichiara che i dipendenti abbiano apprezzato questa decisione imposta dalle circostanze e che non abbia avuto contraccolpi sulla produttività (39%), o in maniera limitata (25,5%).

Il punto di vista dei lavoratori: bene per gli spostamenti ridotti, ma difficile conciliare figli e lavoro

Come stanno vivendo invece questa condizione i lavoratori? Il 38% si dichiara fortunato di poter evitare gli spostamenti in questo momento e il 27% apprezza di avere un ufficio virtuale dove continuare a lavorare come prima. Solo il 7% dice di essere meno produttivo per gli impegni familiari da gestire in contemporanea, percentuale che sale al 33% per le donne con i bambini a casa da scuola.

Tuttavia, la medesima percentuale di madri (30%) apprezza la possibilità di gestire insieme esigenze personali e lavorative con lo smart working (17% del totale). L’aspetto che comunque riscuote più successo è il tempo risparmiato per gli spostamenti da casa all’ufficio, evidenziato da quasi uno su due (49%), seguito dagli orari flessibili (19,5%) e meno distrazioni tra open space, macchinetta del caffè e uffici vari (11%).

Ma, al tempo stesso, mancano la socialità del luogo di lavoro e il confronto quotidiano con i colleghi (27% entrambi) e seguono aspetti all’apparenza secondari, come la comodità della propria postazione (11%) o il piacere di prepararsi alla giornata con outfit e make-up (10%).

Che fine farà lo smart working dopo?

Rispetto al futuro e al ritorno alla normalità, dalla ricerca di Infojobs non emerge un particolare entusiasmo all’idea di estendere lo smart working in modo massivo. Il 71% vorrebbe il lavoro agile uno o due giorni alla settimana al massimo, percentuale che sale all’89% per le donne con figli, mentre solo il 16% auspica il tempo pieno in modalità agile. Dissente il 13%, che preferisce l’ufficio.

Quanto ai datori di lavoro e al management, per il 30% delle aziende non ci saranno cambiamenti delle modalità di lavoro rispetto al business pre coronavirus, mentre il 28% prende tempo e dice che valuterà gli sviluppi legislativi e il 24% dichiara che lo abiliterà, ma solo per una parte dei dipendenti.

Filippo Saini

«Su ciò che avverrà una volta superata l’emergenza sanitaria, le aziende sono caute a parlare di rivoluzione», commenta Filippo Saini, head of job di InfoJobs. «Anche i lavoratori sembrano apprezzare le potenzialità del lavoro da remoto, ma sono ben lontani dall’augurarsi che possa essere la modalità esclusiva e prioritaria di domani. In generale, dalla nostra indagine emerge un’Italia molto pragmatica e realista, che distingue le misure eccezionali dai propri desideri e dalla speranza per la nuova normalità di domani.»

L’indagine è stata svolta a marzo 2020 su un campione di 189 aziende e 1.149 lavoratori e ha rilevato che il 72% delle aziende ha messo a disposizione in tempi brevi mezzi e strumenti per proseguire il lavoro da remoto.

Il 56% delle aziende che hanno attivato lo smart working dichiara di applicarlo per la prima volta, mentre il 29% l’ha esteso a più figure e su più giorni. Percentuali ancora più polarizzate sui lavoratori, dove il 79% afferma di adottarlo per la prima volta, mentre per il 14,5% sono solo cambiate le modalità di fruizione e per il 6,5% non c’è stato alcun cambiamento rispetto a prima.

Ma di fatto, poiché non tutte le tipologie di business o non tutte le funzioni possono essere svolte in modalità smart, dai dati di InfoJobs risulta che i lavoratori italiani in smart working siano il 15%. La parte restante della forza lavoro sembra attualmente a casa senza reddito (45%, che sale al 50% per le donne), in ferie o in congedo (25%) mentre il 13% si reca ancora sul luogo di lavoro.

Pianificazione e follow up per un rapporto di lavoro efficace anche da lontano

Rispetto alle difficoltà riscontrate dai responsabili nel mantenere il controllo sui collaboratori, di certo riflettono una mentalità vecchia, in pratica una leadership basata sul comando e controllo, anziché sulla fiducia, autonomia e responsabilizzazione. Ma sono anche possibili diversi accorgimenti, utilizzando bene e con i tempi giusti le tecnologie disponibili, per non perdere la vista complessiva sui progetti e, certo, per non far sentire neppure abbandonati a se stessi i dipendenti non abituati a lavorare da soli e, intanto, gestire l’emergenza.

Michel Page, per esempio, brand di PageGroup specializzato nella selezione di professionisti qualificati di middle e top management, raccomanda pianificazione e follow up. È bene che il manager di funzione definisca insieme al proprio team obiettivi, Kpi, priorità e tempi di consegna, così da evitare che il flusso si interrompa, che qualcuno rimanga indietro in attesa di ricevere delle attività da portare a termine, o che non si senta parte dello stesso progetto.

Sul finire di ogni giornata, poi, tutti i membri del team sono invitati a stilare i punti da discutere o gli stati d’avanzamento del progetto in corso da condividere con il proprio manager. In questo modo tutto viene documentato e condiviso con i membri del team, che rimangono costantemente aggiornati sull’avanzamento dei lavori e non rischiano di ripetere attività svolte da altri.

Comunicazione regolare per non perdere il contatto con i dipendenti

Di fronte al rischio di perdere il contatto con il team non interagendo faccia a faccia, Vittorio D’Amato, direttore del Centro sul cambiamento, la leadership e il people management della Liuc Business School suggerisce di «restare sincronizzati, mantenere una comunicazione regolare con i membri del team ed evitare lunghi silenzi. Riconoscere la ricezione di messaggi importanti, anche se non è possibile un'azione immediata. Dare alle persone il beneficio del dubbio. Chiedere chiarimenti per comprendere meglio i comportamenti o le intenzioni degli altri prima di saltare alle conclusioni».

Vittorio D'Amato

Altra attitudine da sviluppare in questa situazione è la proattività: «Dobbiamo essere reattivi e collaborativi, incoraggiare tutti a rispondere prontamente alle richieste dei colleghi, prendersi il tempo di fornire feedback, suggerire in modo proattivo soluzioni ai problemi e mantenere un tono positivo e di supporto nelle comunicazioni”.

Trovare il giusto equilibrio tra canali e tempi di comunicazione

Sulla necessità di trovare un equilibrio nell’invio delle comunicazioni sulla situazione di emergenza interviene anche Cornerstone OnDemand, la società globale di tecnologia per lo sviluppo del capitale umano. Suggerisce una comunicazione chiara e trasparente sull’impegno dell’azienda a intraprendere tutte le azioni necessarie, ma evitando che la questione prenda il sopravvento su tutte le normali attività.

La situazione è in continuo mutamento, perciò vale la pena istituire uno o più momenti della giornata in cui i vertici facciano il punto, assicurandosi di comunicare le informazioni giuste al momento giusto alla forza lavoro. Al tempo stesso, occorrono iter comunicativi chiari e veloci, qualora si rendesse necessario informare in tempi rapidi.

È inoltre importante aprire tutti i canali di comunicazione, affinché i collaboratori possano scegliere quello più adatto a loro. Alcuni potrebbero voler porre le proprie domande via e-mail, o direttamente a voce durante le conference call. Altri, invece, potrebbero preferire una certa discrezione, soprattutto se si tratta di domande su preoccupazioni economiche e si sentirebbero più a loro agio parlando solo con il loro diretto responsabile. Ad ogni modo è bene che i manager raccolgano dubbi e preoccupazioni del proprio staff, per poi affrontarli insieme.

Geoffroy de Lestrange

«Nei periodi di incertezza, è fondamentale comunicare in modo chiaro e a cadenza regolare. Qualunque cosa non detta o problema non gestito rischia di inasprirsi e incidere negativamente sul personale», commenta Geoffroy De Lestrange, Product Marketing & Communication Director Emea di Cornerstone OnDemand. 

«Sappiamo tutti che non è possibile avere la risposta a ogni domanda: l’importante è ascoltare, sapere cosa pensano le persone e dimostrare che si prendono sul serio le loro necessità.»

Smart working sì e no. Capi e collaboratori a confronto - Ultima modifica: 2020-04-16T18:21:25+02:00 da Gaia Fiertler